You’ll Never Walk Alone: la pazza e agonica storia dei Reds

Nemmeno Richard Rodgers (compositore musicale) e Oscar Hammerstein II (scrittore), autori di diverse colonne sonore dei popolarissimi musical di Broadway tra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, avrebbero potuto immaginare il simbolo che la loro piccola creatura, “You’ll Never Walk Alone”, avrebbe rappresentato almeno due decenni dopo il musical a sfondo drammatico Carousel (seconda collaborazione, seguita da molte altre, nella carriera del duo).
Nell’opera ove era stato originariamente concepito, il brano accompagnava due momenti fondamentali: la fresca vedovanza della protagonista (il cui marito si è appena suicidato in seguito ad una rapina andata in fumo) e la scena finale, in cui viene intonata dalla classe del diploma della figlia (la quale entra in contatto con il padre deceduto).

La canzone fu reinterpretata da numerosi artisti (Frank Sinatra e Elvis Presley, giusto per citarne due) ma la sua popolarità letteralmente esplose nella Liverpool degli anni ’60, in una fervente scena musicale di band i cui baluardi e capisaldi a livello di visibilità erano ovviamente i leggendari Beatles, rappresentanti a pieno titolo della cosiddetta British invasion. Tuttavia la fortunata incisione della cover (che sarebbe poi divenuto il brano più iconico della storia del football) fu ad opera di un’altra band del Merseyside: Gerry and the Pacemakers, i quali nel 1963 ebbero un’ascesa folgorante al loro esordio con un trittico di singoli piazzatisi al primo posto nelle classifiche britanniche. Soltanto vent’anni più tardi i Frankie Goes to Hollywood riusciranno ad eguagliare tale primato, ottenendo la posizione più ambita con i primi tre singoli.

Negli anni Sessanta non era affatto inusuale entrare in uno stadio inglese ed udire le tifoserie cantare i pezzi più in voga del momento: la BBC infatti immortalò nel 1964 i supporter del Liverpool, nella celebre curva di Anfield Kop Stand, cantare proprio “You’ll Never Walk Alone”.
In quell’annata per i Reds arrivò il sesto titolo inglese, dopo 17 anni dall’ultimo: la redenzione lungamente attesa dopo il declino degli anni ’50, con la dolorosa retrocessione e gli 8 anni di purgatorio in seconda divisione per avere finalmente l’agognata promozione in Premier League.
Non è difficile quindi intuire dal tenore agonico (ma non per questo privo di speranze) del brano, incoraggiamento a camminare sempre a testa alta contro il vento e la tempesta e a non avere paura del buio, perchè sia stato amore a prima vista o – per meglio dire – primo ascolto.
Un anno più tardi, nella finale di FA Cup tra Leeds e – appunto – il Liverpool (al primo successo nella coppa inglese) venne cementificata da parte del tifo dei Reds l’adozione del nuovo inno, il quale venne definito “Liverpool’s signature tune” (letteralmente «sigla musicale del Liverpool», interpretabile nel senso di “biglietto da visita”, ndr) dal telecronista inglese della BBC Kenneth Wolstenholme.

Da quel momento era stato certificato agli occhi del mondo uno dei binomi più emozionanti e emblematici della storia del calcio: il Liverpool non avrebbe certamente camminato da solo, accompagnato in ogni sua azione dal supporto passionale di Anfield.

Il nuovo inno portò certamente fortuna e gloria anche fuori dai confini nazionali alle maglie rosse del Merseyside, le quali a partire dagli anni ’70 si affacciarono di prepotenza sul palcoscenico europeo con un crescendo sensazionale: prima di allora i risultati maggiormente significativi erano stati una semifinale di Coppa dei Campioni nel 1965, nella quale i Reds furono eliminati dalla Grande Inter che vinse quell’edizione, e una finale di Coppa delle Coppe l’anno successivo, persa col Borussia Dortmund.
Dopo l’antipasto, la prima Coppa Uefa conquistata nel 1973, non ci volle molto per il piatto forte: tra il 1975 e il 1978 fu autentica magia di colore rosso acceso, con tre trofei internazionali vinti in altrettante stagioni. Infatti, dopo la seconda Coppa cadetta europea (se così vogliamo chiamarla), il Liverpool si impose stabilmente sul tetto d’Europa vincendo le sue prime due Coppe dei Campioni, consecutive peraltro.
Negli anni ’80 arrivarono altri due successi nel massimo torneo europeo, ma gli dei del calcio sanno essere generosi quanto assurdamente bizzosi: dopo quattro successi in altrettante finali di Coppa dei Campioni arrivò la tragica finale dell’Heysel contro la Juventus, dove gli hooligans mostrarono al mondo intero il loro volto peggiore, causando una ressa che fece crollare un muro dello stadio: 39 furono le vittime, di cui 32 italiani.
Dopo la controversissima decisione di giocare ugualmente la sfida il Liverpool perse la finale e, pochi giorni dopo, la possibilità di disputare le coppe europee, così come le altre squadre inglesi fino al 1990: un anno dopo la ancor più catastrofica strage di Hillsborough (avvenuta nell’imminente semifinale di FA Cup tra i Reds e il Nottingham Forest), nella quale altre 96 anime persero la vita a causa di un cedimento strutturale nell’omonimo stadio.

Panico sugli spalti durante i tragici momenti di Hillsborough

I fantasmi del passato erano tornati, più spaventosi e forti che mai e connessi non solo, tristemente, alle performance sportive del club. Cupi nuvoloni aleggiavano sui cieli di Liverpool, con il rosso che aveva acquisito sfumature troppo simili al sangue.
Per scacciare quegli incubi ci volle almeno un decennio: nel 2001 arrivò la terza coppa UEFA e nel 2005, dopo vent’anni dalla tragedia dell’Heysel, i Reds riuscirono a ritornare sul tetto d’Europa a Istanbul: non poteva essere una finale come le altre, conoscendo un minimo la storia del club in questione, specialmente nel modo in cui si consumò.
Come molti (specialmente se tifosi rossoneri) ricorderanno, in quella occasione il primo tempo si concluse con un 3-0 senza storia in favore del Milan (campione d’Europa due anni prima nella finale storica tutta italiana contro la Juventus), ma è proprio in questa occasione che You’ll Never Walk Alone si dimostrò ben più di un inno o di un motto, un vero e proprio sentimento d’amore nella buona e nella cattiva sorte.

Al termine della prima frazione, infatti, la tifoseria inglese iniziò a intonare il suo inno e man mano i supporter, abbandonato lo sconforto per il destino ormai apparentemente segnato, si unirono in un canto da brividi.
Le note rinvigorirono i cuori dei loro beniamini che furono letteralmente trascinati dal pubblico britannico in un incredibile comeback: il punteggio recitava 3-3 al termine dei tempi regolamentari e vide imporsi il Liverpool ai calci di rigore che resero immortale l’allora portiere dei Reds Jerzy Dudek. Il polacco, ispirandosi certamente a Bruce Grobbelaar (iconico portiere degli anni ’80 della finale vinta dal Liverpool contro la Roma), fece sfoggio di movenze che ipnotizzarono gli avversari dal dischetto come il suo illustre predecessore.
Il Milan ebbe comunque modo di vendicarsi due anni più tardi, imponendosi con doppietta di Pippo Inzaghi nella rivincita di Atene e conquistando la sua settima Champions League.

Dopo quella di Istanbul val la pena citare la rimonta nei quarti di finale di Europa League del 2016: ad Anfield il Liverpool, sotto 1-3 a mezz’ora dalla fine riuscì a vincere clamorosamente la partita ed assicurarsi la qualificazione in semifinale, che passò in scioltezza. Tuttavia l’epilogo fu amaro, vista la sconfitta per 3-1 in finale con gli spagnoli del Siviglia.
Ieri sera, però, un’altra squadra spagnola (ma potrebbero decisamente non concordare su questa definizione a Barcellona e dintorni) ha subito la vendetta dei Reds: ancora una volta ad Anfield – e dove vuoi che avvengano certi miracoli – la consueta bolgia di sciarpe di cui una buona percentuale recitava il solito YNWA (ormai avrete capito) ha spinto i ragazzi del Merseyside a compiere il miracolo più grande mai avvenuto in una semifinale di Champions League/Coppa dei Campioni.
Nessuno mai nella storia della massima competizione europea ha mai ribaltato un 3-0 nella semifinale di ritorno? Benissimo, non c’è problema: 4-0, doppiette di Origi e Wijnaldum (quella dell’olandese in due minuti fra l’altro), intuizione ai limiti del genio di Alexander-Arnold su corner da cui arriva il quarto sigillo, arrivederci e grazie. Tanto il Barcellona, dopo i quarti contro la Roma lo scorso anno, inizia a farci una certa abitudine a quanto pare.

Inutile dirvi l’atmosfera che si è percepita distintamente dal teleschermo, il quadro in movimento che è stata la scena finale con i giocatori e il coach Klopp tutti uniti in un abbraccio a cantare sotto la curva, indovinate cosa? Esatto.
Provo genuinamente invidia per chi allo stadio ieri ha avuto la possibilità di vivere un momento storico e forse potrà viverne un altro a Madrid, il primo giugno prossimo. O forse no.
Perchè nella vita, come nella storia di questo pazzo club noto come Liverpool Football Club, niente è scontato e i saliscendi emotivi sono il sale che rende ogni vittoria e sconfitta un momento prezioso e irripetibile.

Francesco Romano Risi ©Riproduzione riservata.

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